Una storia vera

 

Seconda  parte

 

 

Il Prof. Isa era il primario della divisione di oncologia nell’ospedale dove aveva praticato la chemioterapia. Prendemmo con lui un appuntamento, per portargli la cartella clinica relativa al secondo intervento e per sottoporre al suo giudizio l’esito.

Era una persona minuta, capelli bianchi, baffi bianchi, occhialini che somigliavano incredibilmente ai miei, solo che i miei sono soltanto dei riposa-vista, i suoi erano erano veri occhiali da vista, con lenti molto spesse perché non ci vedeva a tre metri di distanza.

Aveva la capacità di ascoltare e soprattutto una pacatezza nel parlare incredibile, che gli infondeva un’autorevolezza difficile da riscontrare in altri soggetti. Lesse tutto in silenzio, una mano appoggiata alla scrivania, l’altra intenta a girare le pagine mentre leggeva, attentissimo.

Ci guardò, lei aveva le lacrime agli occhi: non sapevamo più davvero cos’altro fare.

“Capisco quello che è successo…è difficile accettarlo, lo so…” esordì. Ci fu una lunga pausa, si alzò e camminò per cinque minuti buoni per lo studio con le mani dietro la schiena. Noi non sapevamo se il colloquio era già concluso e dovevamo andarcene: ma attendemmo ancora, finchè lui si decise a proseguire. Quando riprese posto dietro la sua scrivania, si rivolse direttamente a lei: “c’è una equipe di medici che sta lavorando a un progetto: è un progetto importante, che sta avendo buoni risultati negli Stati Uniti e che loro hanno portato qui in Italia. Se lei vuole signora, posso fare una telefonata. Ma deve sapere che è tutto in via sperimentale, e solo lei può decidere se sottoporsi o no”.

La guardai, incapace di prendere io la parola, nemmeno per incitarla a dire di sì. Ma non ce ne fu bisogno, perché rispose subito che accettava.

 

Nella divisione di ematologia dell’ospedale San Raffaele di Milano – penso che tutti ne abbiate sentito parlare – il Dr. Bregni era il responsabile del progetto ed era un grande amico del Prof. Isa. Questi sollevò la cornetta del telefono e, davanti a noi, lo chiamò.

Venne fissato un colloquio, eravamo ormai alla fine di gennaio del 2002.

Il Dr. Bregni ci accolse con molta cortesia, affabile: dimostrò tutta la sua competenza, sapeva benissimo di cosa stava parlando. Nella sua divisione si faceva il trapianto del midollo osseo, si somministrava la chemioterapia e soprattutto si seguiva il progetto cui il Prof. Isa aveva accennato. Venne messo a punto un piano di lavoro: prima la chemioterapia (ancora!), poi……..il trapianto delle cellule staminali.

 

La chemioterapia cui venne sottoposta questa volta era ad “alto dosaggio”: doveva arrivare in qualsiasi punto avesse trovato quelle “cellule impazzite”.

Al secondo piano del settore Q non si poteva entrare come negli altri ospedali. C’era una sala d’aspetto attrezzata, che precedeva l’ingresso nel reparto: era lì che dovevo calzare i soprascarpe, indossare il camice, mettere la maschera sulla bocca, la cuffia in testa e i guanti. Tutto di plastica, tutto da gettare in appositi contenitori quando si usciva dal reparto.

Nulla era lasciato al caso: il reparto era completamente asettico, guai a dimenticarsi anche una sola di quelle barriere di plastica. Scarpe, vestiti, capelli, mani…tutto doveva essere coperto. Ma c’era un’altra cosa…non la potevo toccare, nemmeno sfiorare. Non potete sapere, né io son capace di descriverlo, cosa significhi parlarle con parole biascicate perché la maschera impediva di pronunciare bene, non poter abbracciarla – ultravietato – non poter accarezzare non dico il viso…ma nemmeno un dito. Perché tutta questa precauzione? Perché la chemioterapia ad alto dosaggio fa’ crollare il numero di globuli bianchi presenti nel sangue e i globuli bianchi sono quelli che preservano dalle infezioni. In pratica viene quasi completamente distrutto il sistema immunologico. Se ti capitava di avere la tosse o, peggio, un raffreddore…in quel reparto non ci potevi entrare.

Quando viene prescritta la chemioterapia, i medici descrivono gli effetti collaterali conosciuti: questo non serve per spaventare i pazienti, ma per dar loro la consapevolezza di quello che può succedere, e per avvertirli nel caso si manifestassero effetti sconosciuti. Le dissero che potevano venire piaghe alle mani, ai piedi, alla bocca. Che poteva sentire del formicolio, e che qualsiasi altra cosa fosse successa doveva avvertirli immediatamente. Durante la somministrazione della chemioterapia, avrebbero raccolto le sue cellule staminali e ne avrebbero misurato la quantità per verificare se erano sufficienti per l’autotrapianto: intanto le sue due sorelle erano state messe in pre-allarme, perché qualora non fossero state sufficienti dovevano essere raccolte anche le loro, per integrare le sue.

Tutto ciò che i medici avevano previsto come effetti collaterali, si verificò puntualmente. Piaghe, croste intorno alla bocca, formicolio. In bagno andava trascinandosi la sua “coda”: l’asta che reggeva i contenitori dei farmaci, perché nemmeno per un secondo la somministrazione poteva essere interrotta. Idratazione, farmaci, nuova idratazione…idratazione, farmaci, nuova idratazione…ogni quindici giorni: senza mai lasciare la camera dov’era ricoverata, nemmeno per mettere la testa sul corridoio del reparto. Tutti i cibi dovevano essere preconfezionati: molti si stupiscono di questo, in realtà le tecniche industriali di preparazione e conservazione dei cibi oggi hanno raggiunto livelli che garantiscono la freschezza e soprattutto l’asetticità, di gran lunga superiori a qualsiasi cibo fresco. Quanti formaggini Quick deve aver mangiato in quel periodo? Impossibile dirlo.

 

E arrivò il momento: venne eseguito l’autotrapianto delle cellule staminali. Era il giugno 2002.

 

Non sono un tecnico, tanto meno un medico, ma per semplificare al massimo posso dirvi che in pratica si tratta di questo: le cellule staminali sono le progenitrici del sangue, globuli bianchi, globuli rossi e piastrine sono prodotti dalle cellule staminali. La chemioterapia ad alto dosaggio va a colpire le cellule malate, quelle sane vengono raccolte e congelate – mantengono così tutte le loro proprietà – e infine reintrodotte nell’organismo una volta ripulite. Di fatto è un completo ricambio del sangue.

Aveva il marker a 329 (solo per darvi l’idea, il valore massimo allora era 35, oggi è 37…): dopo l’autotrapianto delle cellule staminali scese a 21.

 

Love